venerdì 29 gennaio 2010

Ma esiste o non esiste?




Il punto G fa ancora litigare gli studiosi: “La sua esistenza è incontestabile”

Si riapre la discussione sulla zona erogena femminile. Un gruppo di studiosi francesi smentisce la ricerca dei colleghi inglesi che ne aveva contestato l'esistenza. L'opinione degli italiani: "C'è, ma dovremo cambiargli nome"

Il punto G è il grande protagonista della sessualità femminile e periodicamente torna al centro del dibattito. Non è un privilegio per tutte, dicono alcuni medici. Secondo altri, invece, non non lo è per nessuno. Proprio alcune settimane fa una ricerca, pubblicata dal Journal of Sexual Medicine, ha riaperto la discussione: “Il punto G è un mito propagandato dalle riviste e da alcuni terapisti”.

Ma oggi un gruppo di medici francesi torna alla ribalta, dedicando un convegno alla zona erogena più discussa di sempre. Secondo i ricercatori ci sono troppi falsi miti che generano confusione: non è detto che funzioni provocando l’orgasmo, non è vero che ha la stessa dimensione per tutte le donne e, infine, non si può dire che sia nello stesso posto per tutti.

Il medico francese in questione si chiama Sylvain Mimoun e ha smentito gli inglesi del King's College di Londra guidati dal ricercatore Andrea Burri che invece erano convinti che fosse il frutto dell'immaginazione di scienziati. “Il punto G esiste – spiega Mimoun – è la funzione a creare l'orgasmo. Se una donna pratica regolarmente la masturbazione ha più probabilità di scoprire anche questa zona che si trova, più o meno, a tre centimetri dall'entrata della vagina”. Insomma più si indaga, più ci sono probabilità che si scopra di averlo.

Ma allora il punto G esiste o non esiste? “La ricerca dei colleghi inglesi – spiega Emmanuele Jannini, autore dello studio che ne ha documentato l’esistenza, pubblicato nel 2008 sul Journal of sexual medicine – è basata su un sondaggio effettuato su oltre 900 coppie di gemelle britanniche, mono ed eterozigoti. I gemelli identici condividevano i geni ma non le sensazioni legate all’orgasmo”. Lo studio inglese, continua a spiegare l’esperto, ha tratto delle conclusioni su una conformazione anatomica senza indagarla dal punto di vista medico. “Per questo ci lascia perplessi”.

Certo che le discussioni non lasceranno tutto immutato. “Forse arriverà il momento in cui verrà ribattezzato. Non si parlerà più di punto G ma di zona. E interesserà tutta quell’area anatomica che comprende la parte interna del clitoride, corpi cavernosi come quelli del pene, le ghiandole di Skene e nervi che utilizzano gli stessi fattori biochimici dell’erezione maschile. Ma è inutile discutere dell’esistenza – conclude Jannini – perché resta il fatto che ci sono donne che riescono a provare l’orgasmo vaginale”. Insomma non resta che aspettare che il dibattito vada avanti per sapere se si parlerà ancora di punto G o di altro.

fonte: www.corriere.it

lunedì 25 gennaio 2010

PIT STOP 2

Riprendo a scrivere con difficoltà dopo la sonora mazzata (per il Milan, ahimè) di ieri nel derby. Una palese e incontrastabile superiorità raramente l'avevo vista. Occorre essere sportivi ed obiettivi nei confronti dei vincitori, che da anni sono la squadra più forte in Italia. Tempi migliori ci sono stati e ritorneranno: tutto è ciclico, tutto va e tutto torna. Basta solo avere pazienza.

Dopo questa breve amara parentesi calcistica devo registrare un altrettanto amara parentesi podistica. Settimana scorsa ho concluso il primo mese e mezzo di allenamenti, fatto esclusivamente di corsa lenta, con 45 minuti e 60 minuti di corsa con fc media intorno ai 148 bpm. Domenica mattina avevo in programma un test di velocità per testare la mia fc max e da questa settimana avrei finalmente dovuto cominciare con una tabella che avrebbe aggiunto un pò di qualità alla sola corsa lenta.

Venerdì, il giorno successivo i 60 minuti tranquilli di corsa lenta, appena sveglio avverto un dolore alla pianta del piede destro, dolore che purtroppo avverto tutt'oggi. Una ricerca in internet mi porta a pensare che si tratta di fascite plantare prossimale. Il dolore è proprio è nel punto riportato dall'immagine che segue.



Come si manifesta?

La fascite plantare normalmente si manifesta in modo insidioso, all’inizio di un’attività come la corsa compare il dolore che tende a sparire con il protrarsi dell’esercizio stesso, a riposo normalmente il dolore scompare completamente. Normalmente l’atleta nello scendere dal letto alla mattina presenta una zoppia piuttosto dolorosa accompagnata da rigidità, che peraltro scompare dopo un breve riscaldamento. Normalmente si avverte dolore quando ci si porta sulla punta dei piedi e/ si cammina sui talloni. Il dolore viene descritto come di tipo "migratorio", ossia tende ad avere diverse dislocazioni. Inoltre solitamente la fascite plantare è associata ad una rigidità del tendine di Achille.

Come intervenire?

Fermo restando il fatto che la fascite plantare è solitamente una lesione a risoluzione spontanea, occorre comunque attenersi ai seguenti punti:

* Durante la fase acuta applicare localmente del ghiaccio.
* L’applicazione del caldo è generalmente sconsigliata in quanto quest’ultimo
provoca una dilatazione del tessuto connettivo che può a sua volta esercitare
una pressione sui nervi e acuire in tal modo la sintomatologia dolorosa. In
qualsiasi caso all’applicazione del calore dovrebbe immediatamente seguire
quella di ghiaccio.
* Controllare che le calzature normalmente utilizzate durante l’attività sportiva
non causino un aumento del carico sull’aponeurosi plantare, ossia controllare
soprattutto che queste ultime non siano, né troppo rigide, né troppo morbide.
* Utilizzare nelle scarpe una "tallonetta" per meglio assorbire gli impatti
durante la corsa.
* Diminuire il carico di allenamento, evitare provvisoriamente la corsa che può
essere sostituita temporaneamente con la bicicletta e/o il nuoto.
* Effettuare dello stretching per l’aponeurosi plantare, il tendine di Achille e
la muscolature del polpaccio, non solamente sull’arto leso ma, sotto forma
preventiva, anche su quello sano.

Quando si può ritornare all’attività sportiva?

Anche se ben trattata una lesione di una certa severità, che si presenti sotto forma cronica, richiede dei tempi di guarigione dell’ordine di circa 6 mesi. Purtroppo occorre ricordare che le ricadute sono piuttosto frequenti ed il problema può ripresentarsi dopo pochi mesi. Molte di queste ricadute sono comunque da imputarsi all’eccessiva smania dell’atleta nel ritornare in tempi troppo brevi all’attività sportiva, che spesso viene ripresa anche in presenza di una residua sintomatologia dolorosa. Questo costituisce un grave errore, che può comportare spiacevoli conseguenze, l’attività sportiva non dovrebbe assolutamente essere ripresa se non alla totale scomparsa del dolore onde evitare possibili e sgradevoli ricadute. Se nonostante un idoneo trattamento il problema persiste per oltre 6-12 mesi, si può decidere per il trattamento chirurgico che prevede l’utilizzo di diverse tecniche, tra le quali, quella normalmente più utilizzata, prevede la liberazione della fascia plantare dal suo inserimento sul calcagno tramite incisione chirurgica. In questo caso la ripresa dell’attività sportiva richiede tempi compresi tra i 2 ed i 3 mesi, anche se spesso questi ultimi si dilatano. Le complicazioni più frequenti sono costituite dal dolore persistente a livello dell’incisione o dalla lesione del nervo calcaneare mediale in seguito all’intervento. Il ricorso al trattamento chirurgico, comunque piuttosto raro, garantisce una percentuale di successo nel 75 — 80% dei casi.


A parte l'incazzatura per questo secondo infortunio nella mia brevissima attività podistica, escluderei come causa dell'infortunio il peso (ho sempre avuto un fisico snello ma da quando corro ho perso 9 kg ed ora peso 74-75 kg per 185 cm), le calzature (acquistate pochi mesi fa e comunque abbastanza ammortizzanti e tutt'altro che usurate) o l'allenamento esagerato (l'ultimo mese e mezzo ho corso solo lenti molto tranquilli senza mai strafare). Mi alleno sull'asfalto e non penso sia quello il problema visto che ho sempre corso su questo fondo.
Quello che più mi sconforta, oltre all'ennesimo stop, sicuramente sono i presunti tempi di recupero che ho letto su internet.
Da venerdì per precauzione non corro e sto facendo giornalmente degli esercizi di stretching del polpaccio, seguiti da crioterapia e arnicagel.
Il morale non è dei migliori ma non mollo.
Ovviamente se qualcuno ha già avuto a che fare con questo problema, i consigli sono assolutamente ben accetti.

martedì 19 gennaio 2010

Correre fa bene al cervello

Stimola la crescita di nuovi neuroni e crea una «sana» dipendenza, con effetti simili a quelli della cannabis




ROMA - Chi «corre» tutti i giorni fa un favore al suo fisico ma anche al suo cervello, favorendone alcune specifiche capacità. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista dell'Accademia Americana delle Scienze (PNAS) condotto su «topi corridori» dall'equipe di Henriette van Praag del National Institute on Aging, parte degli statunitensi National Institutes of Health, presso Baltimora. Molti studi, sia su esseri umani sia su animali, hanno dimostrato che l'esercizio fisico produce profondi benefici per le funzioni cognitive; nei bambini e nei giovani adulti si riscontra una forte associazione positiva tra attività fisica e capacità di apprendimento. Invece negli anziani l'esercizio fisico permette di rallentare la comparsa di quelle defaillance di memoria tipiche della terza età.

GLI EFFETTI SUL CERVELLO - La corsa in particolare, scrivono su PNAS gli autori di questo studio, ha dimostrato avere profondi effetti sul cervello: nei topi migliora apprendimento e memoria e a ciò sono risultati legati cambiamenti strutturali e fisiologici dell'ippocampo (centro della memoria); la corsa aumenta la produzione di fattori neurotrofici (il «cibo» del cervello), aumenta la vascolarizzazione cerebrale, la plasticità neurale. Il correre ha in sè anche altri effetti prodigiosi. Uno studio, ad esempio, ha dimostrato che correre è come fumare marijuana, però senza effetti collaterali; infatti mette in circolo sostanze simili ai principi psicoattivi presenti nella pianta, che agiscono sul cervello dando sensazione di euforia.

UNA »SANA DIPENDENZA» - Gli scienziati del Georgia Institute of Technology e dell'Università di Irvine hanno così spiegato il fenomeno che dagli anni Settanta è definito in America «euforia del corridore». È il risultato di un meccanismo messo in atto dal corpo per proteggersi dal dolore e per sopportare meglio lo sforzo muscolare durante l'attività. Infatti correndo il corpo produce alti livelli di anandamide, una molecola con le stesse proprietà dei tetracannabinoidi rilasciati dalla marijuana sul sistema nervoso. Ora gli esperti hanno dimostrato che topolini adulti che corrono volontariamente riescono a superare meglio dei test di abilità spaziale; a ciò è associata la neurogenesi, cioè la nascita di nuovi neuroni in zone strategiche del cervello per apprendimento e memoria. Nei topi anziani invece l'effetto non si nota. Senza il vincolo di una scheda da rispettare in palestra, a tu per tu con il verde cittadino, la corsa è quindi un modo semplice e poco costoso di allenare non solo il corpo ma anche la mente.

fonte: www.corriere.it

domenica 17 gennaio 2010

Allenamenti ultima settimana

Eccomi a riaggiornare il blog dopo la parentesi torinese di 3 giorni della scorsa settimana.
Gli allenamenti continuano pur senza forzare, quindi mi sto limitando a macinare Km a fondo lento e il problema al ginocchio sembra un ricordo passato.
Di seguito gli allenamenti dell'ultimo periodo:
1) 35 minuti (6500 mt)
2) 50 minuti (9000 mt) fc media 164 bpm
3) 40 minuti (6900 mt) fc media 150 bpm
4) 55 minuti (9850 mt) fc media 164 bpm

Grazie all'ausilio del cardio, col forerunner 305 sto cominciando ad apprezzare e capire l'importanza della frequenza cardiaca nell'allenamento e spero di avere dei riscontri importanti tra un paio di mesi.
Il programma nell'immediato prevede altri due allenamenti di corsa lenta (45 minuti e 60 minuti) per poi cominciare con una tabella più specifica introducendo un pò di qualità ai miei allenamenti.

L'ultimo commento è per il ritrovato Ronaldinho: musica e magia!!

martedì 5 gennaio 2010

Nuovo anno e ... frequenza cardiaca

Rieccomi ad aggiornare il blog dopo la parentesi natalizia nel mio Salento. Tutto sommato mi sono comportato bene: nessuna abbuffata clamorosa, poco vino e birra anche se non ho resistito di fronte ai dolci che la tradizione natalizia salentina impone.
Sono riuscito a dedicare un pò di tempo all’attività sportiva: due allenamenti rispettivamente di 40 minuti (7000 mt) e 55 minuti (9700 mt), un pò di stretching e potenziamento e due partitine a calcetto dopo tanti mesi. Avrei voluto fare di più, ma tra il tempo che faceva i capricci, le uscite con gli amici e l’arrivo della mia ragazza, non è stato possibile. L’aspetto positivo è che tutto procede per il meglio e non ho avvertito dolore al ginocchio nemmeno dopo le partite di calcetto.

Ora sotto con il nuovo anno che per me riserverà degli eventi (extra sportivi) molto importanti.
Dal punto di vista della corsa sarà invece il mio primo anno visto che corro soltanto da pochi mesi e pian pianino sto scoprendo degli aspetti, dei particolari di un mondo per me ancora da scoprire.

Sono finalmente riuscito a vendere il mio garmin forerunner 205 guadagnandoci 95 euro e grazie ad altri 90 euro della mia ragazza (come regalo di compleanno, l’8 gennaio compio 27 anni!!) ieri sera ho acquistato il garmin forerunner 305 che tra le altre funzionalità mi permette di valutare un parametro che erroneamente avevo sempre trascurato: la frequenza cardiaca.

Sto cercando di capire la reale importanza che questo parametro assume nella corsa, come “allenare” correttamente la frequenza cardiaca e come valutarla nell’impostazione degli allenamenti. Sono ben accetti consigli, opinioni e valutazioni personali.

Di seguito riporto un po’ di informazioni che ho reperito in rete.

La frequenza cardiaca è una delle funzioni vitali, insieme alla temperatura corporea, la pressione sanguigna e il ritmo respiratorio. Viene calcolata come il numero di battiti del cuore al minuto (bpm). La frequenza cardiaca di un adulto a riposo varia moltissimo da persona a persona. Può oscillare tra i 60 e gli 80 battiti al minuto, ma certe persone arrivano anche sotto i 40. Sotto sforzo strenuo, invece, ci sono persone che arrivano a 220 battiti al minuto ed altre che non hanno mai superato i 180. Quando si corre da qualche mese si nota che la frequenza cardiaca a riposo si abbassa, a volte anche notevolmente. Questa è una buona cosa, perché il cuore allenato pompa una maggior quantità di sangue ad ogni battito, e riesce quindi a fare il suo lavoro con una frequenza minore. La frequenza cardiaca massima invece è la massima frequenza di contrazione del cuore che un individuo può raggiungere con la massima intensità fisica.
Si definisce invece Gittata (o Portata) Cardiaca (Q) il volume (espresso in litri) di sangue che un ventricolo riesce a espellere in un minuto. È determinata dal prodotto tra frequenza cardiaca e gittata sistolica (il volume di sangue pompato da un ventricolo nel corso di una singola contrazione). In condizioni di riposo, la gittata cardiaca di un uomo di taglia media è pari a circa 5 L/min, mentre durante uno sforzo fisico massimale di tipo incrementale la gittata cardiaca può salire fino 20 L/min (35-40 L/min negli atleti professionisti). A riposo, la gittata sistolica si attesta intorno ai 70 mL e può aumentare fino a 90-100 mL durante l'attività fisica. La gittata cardiaca può aumentare o diminuire, dipendentemente da diversi fattori. Tali modificazioni possono riguardare la frequenza cardiaca o il volume sistolico, ma generalmente dopo una modificazione di uno dei dua parametri l'altro subisce dei conseguenti adattamenti.

Gittata cardiaca e lavoro muscolare
Il flusso di sangue nei muscoli aumenta in proporzione all'aumento di richiesta energetica. Questo avviene attraverso un convogliamento di maggiore quantità di sangue verso i muscoli che lavorano e con un aumento della gittata cardiaca.
Il sistema cardiocircolatorio realizza tali adattamenti funzionali aumentando la frequenza cardiaca e dirottando il sangue nei distretti interessati. Nel corso di tali processi la pressione arteriosa viene mantenuta costante. La frequenza cardiaca varia per l'azione dei nervi che innervano il cuore e per l'azione degli ormoni circolanti (l'adrenalina che causa tachicardia e l'acetilcolina che causa bradicardia): questo costituisce il "controllo estrinseco" della frequenza cardiaca.

Gittata cardiaca e frequenza cardiaca a riposo
La gittata cardiaca a riposo varia in funzione della situazione emotiva che da origine a influssi nervosi discendenti dalla corteccia. In media è pari a circa 5 litri al minuto e non varia tra soggetti allenati e non.
In soggetti non allenati (maschi sani) la gittata cardiaca di 5 litri al minuto si ottiene con una frequenza di 70 battiti al minuto e una gittata sistolica di 71 ml (Nel sesso femminile i valori sono inferiori di circa il 25%).
I soggetti allenati per prove di resistenza ottengono la stessa gittata cardiaca con una frequenza relativamente bassa (ad esempio 50 battiti al minuto) e una gittata pulsatoria maggiore (ad esempio 100 ml). Il cuore ha maggiori dimensioni.

Il parametro più importante per modulare l'allenamento è l'intensità dello sforzo, ma come valutare l'intensità dello sforzo in termini oggettivi?
Misurando la frequenza cardiaca massima teorica.
L'intensità dell'allenamento si può modulare in funzione di percentuali di tale frequenza massima, in particolare:

50 - 60 % Attività molto moderata
(adatta per chi deve rieducare l'organismo all'attività fisica. Esempio: corsa lentissima)
60 - 70 % Attività finalizzata al DIMAGRAMENTO (adatta per attività di rigenerazione o per ottenere un dimagramento corporeo)
70 - 80 % Attività intensa
(Solo per chi è già allenato e vuole mantenere e sviluppare l'allenamento)
89 - 90 % Attività agonistica
(Solo per chi intende raggiungere risultati a livello agonistico.)


Per calcolare la frequenza cardiaca massima teorica si usa, da diversi anni, la formula di KARVONEN dal nome dello studioso finlandese che per primo la elaborò. Secondo questa regola la frequenza cardiaca massima teorica si calcola sottraendo a 220 la propria età.

FC MAX = 220 -ETÀ

Il calcolo è piuttosto semplice e la formula si ricorda facilmente. Tuttavia si tratta di una regola generale, non certo priva di errore, calcolata a partire dalla media di popolazione. Alcuni studi hanno dimostrato l'esistenza di una importante variabilità interindividuale della frequenza cardiaca massima che può arrivare sino al 10-15%.
Negli ultimi anni è stata introdotta una nuova relazione tra frequenza cardiaca ed età, scoperta dallo studioso giapponese Hirofumi Tanaka durante uno studio condotto all'Università di Boulder, Colorado . L'omonima formula è leggermente più complessa della precedente ma anche più precisa.

FC MAX = 208 - 0.7 * ETÀ

Secondo tale regola la frequenza cardiaca massima teorica si calcola sottraendo a 208, il prodotto della costante 0,7 per l'età espressa in anni. Oppure, esprimendo il concetto in altri termini: la frequenza cardiaca massima teorica si ottiene sottraendo a 208 il 70% della propria età.